&FANFIC; [Sherlock BBC] The hollow man
Jul. 21st, 2012 07:36 pm![[identity profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/openid.png)
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Titolo. The hollow man
Fandom. Sherlock (BBC)
Personaggi. Sherlock Holmes (eventuale Sherlock/John nell'ultimo flash)
Rating. PG-13
Warning. pre-slash
Conteggio Parole. 1803 (FDP)
Beta-reader.
naripolpetta <3
Riassunto. Sherlock contro i normali bisogni fisici. Di solito, a vincere è lui. Di solito.
Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono di proprietà della premiata ditta Moffat-Gatiss e degli altri aventi diritto. Sir Arthur, grazie di tutto. <3
Note.Scritta per il terzo turno dello Sherlothon, prompt 3, Team Canon (alé alé!). Nel mio intrico mentale, l'immagine del prompt c'entra con questa fanfic: Holmes che guarda dentro un baule mi fa venire in mente lo scatolone dove riponeva gli oggetti legati ai suoi vecchi casi e che alle volte tirava fuori (nel Canone). I ricordi di tutta una vita, insomma. Da qui l'idea di una fic costruita su flash di vecchi ricordi di Sherlock. Tutto fila, visto? X''D *suda*
THE HOLLOW MAN
Sherlock non è una macchina.
Gli impulsi fisici arrivano alla sua mente sopraffina nella stessa maniera e alla stessa velocità con cui raggiungono i cervelli degli altri, con l'unica differenza che lui può scegliere quando ascoltarli e quando no. Gli è sempre parsa una scelta logica e naturale impostare una priorità e focalizzarsi su quella e quella soltanto, in modo che niente - né fame, né stanchezza, né alcun altro bisogno materiale - possa frapporsi tra lui e il suo obiettivo. La considera un'arte essenziale per il suo lavoro; ne va irrazionalmente fiero, benché in realtà ben pochi impulsi abbiano necessitato un'alta concentrazione da parte sua per essere ricacciati dentro le viscere, o nel sangue, o da qualunque altra parte provengano.
Ben pochi. E, alcuni, inaspettati.
*
*
È una bella giornata di aprile, due giorni prima della Pasqua. Sherlock ha quattro anni e, dopo molte insistenze è riuscito a convincere sua madre a insegnargli a leggere.
Non capisce perché suo padre sia contrario e, nel suo cervello di bambino, non riesce a non considerare il suo rifiuto come un tentativo di privarlo di qualcosa di necessario.
Papà ha sempre almeno un libro in mano e Mycroft dà sfoggio di nuove conoscenze ogni volta che torna a casa per le festività, perché lui dovrebbe essere da meno?
E così sua madre gli ha insegnato i primi rudimenti e gli ha aperto le porte della biblioteca di casa; Sherlock non si schioda di lì per tutto il giorno, nonostante le proteste di suo padre e i suoi innumerevoli tentativi di farlo uscire all'aria aperta, a giocare nel cortile come tutti i suoi coetanei.
Un giorno, per sfuggire al padre, Sherlock si arrampica tra i rami della grossa quercia del parco vicino a casa, portando con una certa difficoltà un grosso libro con sé. Appoggia la schiena al tronco e, reggendo il libro sulle ginocchia, inizia a leggere, compitando bene le parole e tenendo il segno con il dito indice.
Quando i genitori lo trovano è già sera e Sherlock sta scendendo da solo dall'albero. È rimasto lì tutto il giorno, senza muoversi né mangiare, immerso nella lettura.
Sua madre lo osserva vagamente compiaciuta, nasconde un sorriso e lo prende in braccio. Il padre gli dice che per punizione gli verranno sottratti i libri per una settimana, ma sa già che la moglie - che non riesce a proibire nulla al piccolo Sherlock - glieli provvederà di nascosto.
*
Le tre e trenta di una fredda notte di novembre. Le luci del collegio sono state spente per la notte, gli inservienti sono passati ore prima a pulire le aule e i laboratori.
Uno Sherlock Holmes quindicenne siede su uno sgabello del laboratorio di chimica - unica stanza illuminata dell'intero piano - con una boccetta di acido nella mano sinistra e una pipetta piena tra le dita lunghe e sottili della mano destra.
Gli sembrano passati cinque minuti da quando uno dei suoi professori, passato di lì, l'aveva trovato chino sul microscopio e lo aveva sollecitato ad andare a dormire.
Sherlock aveva risposto che avrebbe terminato la sua analisi del campione nel vetrino, poi avrebbe di sicuro seguito il suo consiglio.
Sono passate più di quattro ore. Il ragazzo è ancora lì, sicuro che nessuno verrà più a disturbarlo - in fondo il rettore ha dato espressamente il suo consenso affinché quel giovane così brillante abbia libero accesso ai laboratori per tutto il tempo che vuole - e all'analisi del campione segue un esperimento con degli acidi e poi la prova di un reagente.
Sherlock sta chino sul vetrino con la pipetta tra le dita e batte più volte le palpebre per schiarirsi la vista. Non funziona ed è costretto a posare lo strumento e a strofinarsi gli occhi stanchi.
La vista gli si sta appannando sempre di più e darebbe qualunque cosa per un materasso e un cuscino, ma non può cedere proprio adesso che è tanto vicino al risultato.
Il ragazzo si dà un paio di schiaffi sulle guance con entrambe le mani per svegliarsi e prende un profondo respiro. Concentra tutta la sua volontà su ciò che ha di fronte, il suo esperimento a metà, la pipetta posata accanto al vetrino.
Sembra funzionare. La vista gli si schiarisce, la stanchezza smette di tentarlo, la mente accantona il bisogno di sonno nel suo angolo più polveroso e dimenticato.
Del tutto focalizzato nel suo lavoro, Sherlock sorride soddisfatto e afferra la pipetta. Se l'esperimento fallisce dovrà ricominciare da capo. Be', niente di grave, ha tutta la notte a disposizione.
*
È gennaio e la neve caduta durante la notte ha ammantato la città come una coperta.
Sherlock risiede a Londra da un anno, un anno lungo e monotono. All'inizio ha avuto così tanto tempo libero da non sapere come impiegarlo, a parte la continuazione dei suoi studi di quelle particolari aree della scienza che sarebbero state utili per il suo lavoro. Gli unici casi che ha avuto per le mani sono stati quelli che gli portavano i suoi ex compagni di università, che conoscevano il suo acume e la sua capacità di deduzione e che per svariati motivi non volevano coinvolgere la polizia nei loro problemi.
Ma da un paio di settimane le cose vanno meglio. Ha fatto la conoscenza di un ispettore di Scotland Yard non particolarmente brillante ma tenace come un mastino e, da allora, ogni volta che la polizia ha per le mani un caso particolarmente interessante lui ne è informato.
E ha la possibilità di mostrare come si indaga a degli incompetenti, oltre al far sì che il suo cervello non gli si arrugginisca per la troppa inerzia.
Sherlock si appoggia per brevissimi istanti a un muro per riprendere fiato prima di staccarsene e riprendere a correre come se ne andasse della sua vita.
Dense gocce di sangue atterrano sul terreno sporco dei sobborghi della capitale.
Sherlock è ferito, al braccio sinistro. Non si è accorto del coltello, una svista imperdonabile che ha pagato con un profondo taglio all'avambraccio.
Fortunatamente nessuna arteria è stata tranciata, ma la perdita di sangue è abbondante.
Il ragazzo si ferma di nuovo contro un muro, ansante. Tira un pugno alla superficie di mattoni dietro di sé; ha perso il suo uomo, e la rabbia verso sé stesso, per esserselo fatto sfuggire, per non aver calcolato che potesse essere armato, gli fa girare la testa.
Respira profondamente, cercando di pensare. Ha bisogno di pensare. Ha bisogno di organizzare i pensieri e un piano d'azione, ma il pulsare feroce del taglio sul suo braccio lo distrae.
Sherlock abbassa gli occhi sulla ferita, il sangue che continua a gocciolare lentamente e a inzuppare la stoffa del giaccone pesante che ha addosso. Le dita della mano tremano per il dolore e lo shock.
È la prima volta che un criminale a cui sta dando la caccia estrae un'arma e lo colpisce.
È anche la prima volta che qualcuno tenta di ucciderlo, ma suppone che dovrà farci l'abitudine.
Sherlock stringe i denti mentre ordina ferocemente al suo corpo di smettere di tremare, al braccio di smettere di dolere così tanto, e al suo cervello di darsi una mossa a pianificare la prossima linea d'azione.
Tenta di concentrare tutto se stesso nel caso da risolvere, nel criminale da rintracciare, nelle telefonate che dovrà fare e nelle restituzioni di favori che dovrà chiedere per trovare una pista e poter stanare il suo uomo.
Con suo infinito sollievo, la tattica ha successo: il dolore pulsante al braccio si attutisce e diventa un sottofondo, il ritmo del respiro si normalizza e i tremiti abbandonano il suo corpo.
Sherlock rimane ancora qualche minuto appoggiato al muro, in una pace appena ritrovata, prima di muoversi e dirigersi verso il Bart's.
Conosce una patologa che lo ricucirà senza fare troppe domande.
*
È una domenica di metà estate; la giornata si preannuncia estremamente calda ed estremamente tranquilla, due aggettivi che in qualunque altro frangente darebbero i nervi a Sherlock, ma non oggi. Oggi ha un caso per le mani, un problema interessante dopo settimane di noia e, se fino a ieri il caldo era irritante e l'aria irrespirabile, oggi il caldo non esiste e l'aria non necessita di essere respirata, perché c'è qualcosa di molto meglio con cui occupare la propria giornata.
Oggi la giornata è tranquilla, ma solo per John, che non lavora e non ha impegni fino al giorno dopo, ed è quindi libero di prender parte in maniera degna alla nuova indagine, senza inutili distrazioni.
Quando il dottore esce dalla doccia, in accappatoio e con un asciugamano che gli pende da una spalla, ha la faccia scocciata di chi è stato tirato giù dal letto a orari indecenti in un giorno festivo.
Sherlock è davanti al computer ma si alza, fulmineo, e gli indica la sedia con un cenno del capo, mentre con una mano estrae il cellulare dalla tasca e compone velocemente un sms per Lestrade.
John sa già che deve fare - Sherlock gli ha spiegato la situazione mentre lo scrollava, gli tirava via le coperte di dosso e, in generale, lo infastidiva così tanto da costringerlo a trascinarsi fuori dal letto - quindi prende posto di fronte al computer e inizia a cercare sul web qualunque informazione utile al caso.
Sherlock ha inviato il messaggio e ora osserva lo schermo da sopra la spalla di John. Si sente euforico, quasi felice: un problema interessante di cui occuparsi, una bella giornata che favorisce gli spostamenti e il suo dottore tutto per lui. Una domenica perfetta.
È bello avere il supporto di qualcun altro, è stimolante. John ha perso l'espressione scocciata e ora sembra assorbito dalla ricerca, clicca dei link, appoggia il mento su una mano e legge una pagina sullo schermo. È ancora caldo di doccia, i capelli umidi emanano un leggero profumo di sandalo e di calore.
È così semplice e naturale chinarsi appena appena, di pochissimo, per inalare meglio quell'odore buono e confortante. Sherlock sente il bisogno confuso di piegarsi un po' di più fino a immergerci il naso, in quell'odore, per poterlo respirare a pieni polmoni e sentire l'umido dei capelli e della cute di John.
Non lo fa, ovviamente. Sente per un attimo i muscoli del collo cedere, l'impulso di lasciar cadere la testa in avanti si fa un po' troppo forte, la visuale inizia ad appannarsi ai lati, e Sherlock si rialza. Sospira lentamente, senza farsi sentire, svuota per bene i polmoni e chiude gli occhi. Quando li riapre ha riacquistato il controllo di sé e John gli sta indicando con un dito la frase di un articolo che ha trovato, guardandolo perplesso e chiedendogli se sta bene.
Sherlock annuisce, serio, focalizzandosi sulla pagina web di fronte a lui, il cervello in moto che proietta frasi, idee e progetti in un flusso continuo di dati.
Ancora una volta, l'elemento estraneo al meccanismo è stato rimosso e ricacciato in giù, nel ventre, tra le viscere, insieme agli altri assurdi bisogni. È rimasto un velo di desiderio, ma Sherlock sa che se andrà presto, è inevitabile, è la norma, è questione di pochi minuti.
Rimane in attesa dell'ineluttabile per tutto il giorno.
Fandom. Sherlock (BBC)
Personaggi. Sherlock Holmes (eventuale Sherlock/John nell'ultimo flash)
Rating. PG-13
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Conteggio Parole. 1803 (FDP)
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Riassunto. Sherlock contro i normali bisogni fisici. Di solito, a vincere è lui. Di solito.
Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono di proprietà della premiata ditta Moffat-Gatiss e degli altri aventi diritto. Sir Arthur, grazie di tutto. <3
Note.Scritta per il terzo turno dello Sherlothon, prompt 3, Team Canon (alé alé!). Nel mio intrico mentale, l'immagine del prompt c'entra con questa fanfic: Holmes che guarda dentro un baule mi fa venire in mente lo scatolone dove riponeva gli oggetti legati ai suoi vecchi casi e che alle volte tirava fuori (nel Canone). I ricordi di tutta una vita, insomma. Da qui l'idea di una fic costruita su flash di vecchi ricordi di Sherlock. Tutto fila, visto? X''D *suda*
Sherlock non è una macchina.
Gli impulsi fisici arrivano alla sua mente sopraffina nella stessa maniera e alla stessa velocità con cui raggiungono i cervelli degli altri, con l'unica differenza che lui può scegliere quando ascoltarli e quando no. Gli è sempre parsa una scelta logica e naturale impostare una priorità e focalizzarsi su quella e quella soltanto, in modo che niente - né fame, né stanchezza, né alcun altro bisogno materiale - possa frapporsi tra lui e il suo obiettivo. La considera un'arte essenziale per il suo lavoro; ne va irrazionalmente fiero, benché in realtà ben pochi impulsi abbiano necessitato un'alta concentrazione da parte sua per essere ricacciati dentro le viscere, o nel sangue, o da qualunque altra parte provengano.
Ben pochi. E, alcuni, inaspettati.
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È una bella giornata di aprile, due giorni prima della Pasqua. Sherlock ha quattro anni e, dopo molte insistenze è riuscito a convincere sua madre a insegnargli a leggere.
Non capisce perché suo padre sia contrario e, nel suo cervello di bambino, non riesce a non considerare il suo rifiuto come un tentativo di privarlo di qualcosa di necessario.
Papà ha sempre almeno un libro in mano e Mycroft dà sfoggio di nuove conoscenze ogni volta che torna a casa per le festività, perché lui dovrebbe essere da meno?
E così sua madre gli ha insegnato i primi rudimenti e gli ha aperto le porte della biblioteca di casa; Sherlock non si schioda di lì per tutto il giorno, nonostante le proteste di suo padre e i suoi innumerevoli tentativi di farlo uscire all'aria aperta, a giocare nel cortile come tutti i suoi coetanei.
Un giorno, per sfuggire al padre, Sherlock si arrampica tra i rami della grossa quercia del parco vicino a casa, portando con una certa difficoltà un grosso libro con sé. Appoggia la schiena al tronco e, reggendo il libro sulle ginocchia, inizia a leggere, compitando bene le parole e tenendo il segno con il dito indice.
Quando i genitori lo trovano è già sera e Sherlock sta scendendo da solo dall'albero. È rimasto lì tutto il giorno, senza muoversi né mangiare, immerso nella lettura.
Sua madre lo osserva vagamente compiaciuta, nasconde un sorriso e lo prende in braccio. Il padre gli dice che per punizione gli verranno sottratti i libri per una settimana, ma sa già che la moglie - che non riesce a proibire nulla al piccolo Sherlock - glieli provvederà di nascosto.
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Le tre e trenta di una fredda notte di novembre. Le luci del collegio sono state spente per la notte, gli inservienti sono passati ore prima a pulire le aule e i laboratori.
Uno Sherlock Holmes quindicenne siede su uno sgabello del laboratorio di chimica - unica stanza illuminata dell'intero piano - con una boccetta di acido nella mano sinistra e una pipetta piena tra le dita lunghe e sottili della mano destra.
Gli sembrano passati cinque minuti da quando uno dei suoi professori, passato di lì, l'aveva trovato chino sul microscopio e lo aveva sollecitato ad andare a dormire.
Sherlock aveva risposto che avrebbe terminato la sua analisi del campione nel vetrino, poi avrebbe di sicuro seguito il suo consiglio.
Sono passate più di quattro ore. Il ragazzo è ancora lì, sicuro che nessuno verrà più a disturbarlo - in fondo il rettore ha dato espressamente il suo consenso affinché quel giovane così brillante abbia libero accesso ai laboratori per tutto il tempo che vuole - e all'analisi del campione segue un esperimento con degli acidi e poi la prova di un reagente.
Sherlock sta chino sul vetrino con la pipetta tra le dita e batte più volte le palpebre per schiarirsi la vista. Non funziona ed è costretto a posare lo strumento e a strofinarsi gli occhi stanchi.
La vista gli si sta appannando sempre di più e darebbe qualunque cosa per un materasso e un cuscino, ma non può cedere proprio adesso che è tanto vicino al risultato.
Il ragazzo si dà un paio di schiaffi sulle guance con entrambe le mani per svegliarsi e prende un profondo respiro. Concentra tutta la sua volontà su ciò che ha di fronte, il suo esperimento a metà, la pipetta posata accanto al vetrino.
Sembra funzionare. La vista gli si schiarisce, la stanchezza smette di tentarlo, la mente accantona il bisogno di sonno nel suo angolo più polveroso e dimenticato.
Del tutto focalizzato nel suo lavoro, Sherlock sorride soddisfatto e afferra la pipetta. Se l'esperimento fallisce dovrà ricominciare da capo. Be', niente di grave, ha tutta la notte a disposizione.
*
È gennaio e la neve caduta durante la notte ha ammantato la città come una coperta.
Sherlock risiede a Londra da un anno, un anno lungo e monotono. All'inizio ha avuto così tanto tempo libero da non sapere come impiegarlo, a parte la continuazione dei suoi studi di quelle particolari aree della scienza che sarebbero state utili per il suo lavoro. Gli unici casi che ha avuto per le mani sono stati quelli che gli portavano i suoi ex compagni di università, che conoscevano il suo acume e la sua capacità di deduzione e che per svariati motivi non volevano coinvolgere la polizia nei loro problemi.
Ma da un paio di settimane le cose vanno meglio. Ha fatto la conoscenza di un ispettore di Scotland Yard non particolarmente brillante ma tenace come un mastino e, da allora, ogni volta che la polizia ha per le mani un caso particolarmente interessante lui ne è informato.
E ha la possibilità di mostrare come si indaga a degli incompetenti, oltre al far sì che il suo cervello non gli si arrugginisca per la troppa inerzia.
Sherlock si appoggia per brevissimi istanti a un muro per riprendere fiato prima di staccarsene e riprendere a correre come se ne andasse della sua vita.
Dense gocce di sangue atterrano sul terreno sporco dei sobborghi della capitale.
Sherlock è ferito, al braccio sinistro. Non si è accorto del coltello, una svista imperdonabile che ha pagato con un profondo taglio all'avambraccio.
Fortunatamente nessuna arteria è stata tranciata, ma la perdita di sangue è abbondante.
Il ragazzo si ferma di nuovo contro un muro, ansante. Tira un pugno alla superficie di mattoni dietro di sé; ha perso il suo uomo, e la rabbia verso sé stesso, per esserselo fatto sfuggire, per non aver calcolato che potesse essere armato, gli fa girare la testa.
Respira profondamente, cercando di pensare. Ha bisogno di pensare. Ha bisogno di organizzare i pensieri e un piano d'azione, ma il pulsare feroce del taglio sul suo braccio lo distrae.
Sherlock abbassa gli occhi sulla ferita, il sangue che continua a gocciolare lentamente e a inzuppare la stoffa del giaccone pesante che ha addosso. Le dita della mano tremano per il dolore e lo shock.
È la prima volta che un criminale a cui sta dando la caccia estrae un'arma e lo colpisce.
È anche la prima volta che qualcuno tenta di ucciderlo, ma suppone che dovrà farci l'abitudine.
Sherlock stringe i denti mentre ordina ferocemente al suo corpo di smettere di tremare, al braccio di smettere di dolere così tanto, e al suo cervello di darsi una mossa a pianificare la prossima linea d'azione.
Tenta di concentrare tutto se stesso nel caso da risolvere, nel criminale da rintracciare, nelle telefonate che dovrà fare e nelle restituzioni di favori che dovrà chiedere per trovare una pista e poter stanare il suo uomo.
Con suo infinito sollievo, la tattica ha successo: il dolore pulsante al braccio si attutisce e diventa un sottofondo, il ritmo del respiro si normalizza e i tremiti abbandonano il suo corpo.
Sherlock rimane ancora qualche minuto appoggiato al muro, in una pace appena ritrovata, prima di muoversi e dirigersi verso il Bart's.
Conosce una patologa che lo ricucirà senza fare troppe domande.
*
È una domenica di metà estate; la giornata si preannuncia estremamente calda ed estremamente tranquilla, due aggettivi che in qualunque altro frangente darebbero i nervi a Sherlock, ma non oggi. Oggi ha un caso per le mani, un problema interessante dopo settimane di noia e, se fino a ieri il caldo era irritante e l'aria irrespirabile, oggi il caldo non esiste e l'aria non necessita di essere respirata, perché c'è qualcosa di molto meglio con cui occupare la propria giornata.
Oggi la giornata è tranquilla, ma solo per John, che non lavora e non ha impegni fino al giorno dopo, ed è quindi libero di prender parte in maniera degna alla nuova indagine, senza inutili distrazioni.
Quando il dottore esce dalla doccia, in accappatoio e con un asciugamano che gli pende da una spalla, ha la faccia scocciata di chi è stato tirato giù dal letto a orari indecenti in un giorno festivo.
Sherlock è davanti al computer ma si alza, fulmineo, e gli indica la sedia con un cenno del capo, mentre con una mano estrae il cellulare dalla tasca e compone velocemente un sms per Lestrade.
John sa già che deve fare - Sherlock gli ha spiegato la situazione mentre lo scrollava, gli tirava via le coperte di dosso e, in generale, lo infastidiva così tanto da costringerlo a trascinarsi fuori dal letto - quindi prende posto di fronte al computer e inizia a cercare sul web qualunque informazione utile al caso.
Sherlock ha inviato il messaggio e ora osserva lo schermo da sopra la spalla di John. Si sente euforico, quasi felice: un problema interessante di cui occuparsi, una bella giornata che favorisce gli spostamenti e il suo dottore tutto per lui. Una domenica perfetta.
È bello avere il supporto di qualcun altro, è stimolante. John ha perso l'espressione scocciata e ora sembra assorbito dalla ricerca, clicca dei link, appoggia il mento su una mano e legge una pagina sullo schermo. È ancora caldo di doccia, i capelli umidi emanano un leggero profumo di sandalo e di calore.
È così semplice e naturale chinarsi appena appena, di pochissimo, per inalare meglio quell'odore buono e confortante. Sherlock sente il bisogno confuso di piegarsi un po' di più fino a immergerci il naso, in quell'odore, per poterlo respirare a pieni polmoni e sentire l'umido dei capelli e della cute di John.
Non lo fa, ovviamente. Sente per un attimo i muscoli del collo cedere, l'impulso di lasciar cadere la testa in avanti si fa un po' troppo forte, la visuale inizia ad appannarsi ai lati, e Sherlock si rialza. Sospira lentamente, senza farsi sentire, svuota per bene i polmoni e chiude gli occhi. Quando li riapre ha riacquistato il controllo di sé e John gli sta indicando con un dito la frase di un articolo che ha trovato, guardandolo perplesso e chiedendogli se sta bene.
Sherlock annuisce, serio, focalizzandosi sulla pagina web di fronte a lui, il cervello in moto che proietta frasi, idee e progetti in un flusso continuo di dati.
Ancora una volta, l'elemento estraneo al meccanismo è stato rimosso e ricacciato in giù, nel ventre, tra le viscere, insieme agli altri assurdi bisogni. È rimasto un velo di desiderio, ma Sherlock sa che se andrà presto, è inevitabile, è la norma, è questione di pochi minuti.
Rimane in attesa dell'ineluttabile per tutto il giorno.